Venerdì 1 Novembre 2002
Kabul ore 22:20
Ieri mattina uno sgangherato taxi giallo ci porta un uomo sulla quarantina, pelle ed ossa, gli occhi sbarrati, amputato alla coscia destra, con moncone di osso morto che esce dalla pelle, piaghe da decubito, vescica aperta con urine che colano libere, odore di marcio: è stato per un mese all’ospedale di Gardez (quattro ore di macchina da noi), ferito da una bomba durante combattimenti sul confine pakistano.
Dicono che l’ospedale di Gardez sia un lazzareto: vedendo questa larva umana mi scorrono davanti gli scheletri viventi dei campi di sterminio nazisti.
Sempre in mattinata arriva da fuori Kabul un ferito da mina: Hamid, un giovane pastore, una grossa scheggia gli ha spezzato il midollo spinale e bucato un rene, è paralizzato, gli altri due pastori che erano con lui sono morti: due ore di intervento per strapparlo alla morte, ma poi resterà anche lui un poveretto sulla sedia a rotelle.
Verso sera ci portano sei traumatizzati coinvolti in un incidente automobilistico in città: qui la gente guida da pazzi, non c’è rispetto per nessuno, e quasi sempre si tratta di pedoni investiti.
Stanno aumentando anche i feriti da delinquenza comune in Kabul: cominciano a circolare sempre più dollari, i poveri e gli affamati crescono nella periferia con i profughi che stanno ritornando del Pakistan, ed è facile trarne le conclusioni.
Questa mattina presto, alle sei, arrivano due feriti da bombardamento dal nord Afghanistan: da alcuni giorni si stanno combattendo tra Mazar-e-Sharif e Shibirgan le truppe di Dostum e di un altro signorotto locale, ci dicono che sono intervenuti anche aerei americani.
Subito dopo un pulmino scarica due giovani, feriti per il
lancio di una granata durante una festa di matrimonio proprio qui in città a due passi da noi: e sì, perché questi dannati afgani vanno armati pure ai matrimoni, e la rissa ci scappa sovente!
Sono ritornato dopo cinque mesi a Kabul e non è cambiato nulla: il solito maledetto stillicidio quotidiano di feriti da mina, da bombardamento, da arma da fuoco.il solito ospedale strapieno di storie umane drammatiche, di visi, di occhi, di sorrisi, di persone che
stanno facendo la storia dimenticata di questo paese.
In Afghanistan una intera generazione è nata e cresciuta con la guerra, con le armi: come posso pensare che la democrazia e la pace si creino e consolidino in poco tempo?
Kabul è comunque più viva che mai, la gente è operosa, qua e là stanno asfaltando le strade; dove le mine lo consentono, stanno coltivando di nuovo frutta e verdura. Vediamo molti camion pakistani portare farina, e da Kabul andare a Mazar, Herat, Kandhar. Certo i prezzi però stanno andando alle stelle: a Microrayon, un quartiere popolare di vecchie case russe, due camerette sudice senza acqua né luce costavano 15 dollari al mese sotto i talebani, ora l’affitto è salito a 150, ce lo raccontava un nostro medico afgano che ci abita (ed il cui stipendioè di 225 dollari al mese).
Ad Emergency è stato chiesto dal governo afgano di farsi carico di un altro sperdutissimo ospedale distrettuale, Laskargah, ad ovest di Kandhar verso l’Iran: i quattro medici afgani di quel posto da inferno sono stati a cena da noi, cena rigorosamente afgana, seduti sui tappeti a gambe incrociate. Bisogna davvero cominciare da zero, come struttura e come personale locale.
Va avanti anche il programma di aiuto ai prigionieri e di
umanizzazione delle carceri: si sta dando un minimo di assistenza sanitaria anche nelle prigioni più lontane e dimenticate, come la fortezza di Shibarghan, nel lontano nord, oltre Kunduz e Mazar. Chi ci è stato me la racconta come una enorme prigione medioevale, un forte dei secoli passati; raccontano che subito dopo la guerra migliaia di talebani siano stati trasferiti in quel posto infernale dentro container stipati all’inverosimile. Dopo la resa di Mazar e Kunduz i talebani venivano pigiati cento-centocinquanta dentro ogni container, senza aria né cibo, e quando arrivavano a Shiberghan, dal container usciva urina e sangue, i sopravvissuti venivano giustiziati nelle fosse comuni. E’ una storia orribile, perché gli aguzzini erano gli stessi uomini dell’Alleanza del Nord, ma più disgustosa e rivoltante perché gli autisti dei camion raccontano con tranquillità che l’operazione era controllata da americani (non molti, una trentina). Il carcere di Shiberghan è diviso in tre grandi ali ognuna delle quali termina in una grande fossa che raccoglie gli escrementi dei prigionieri: raccontano che molti talabani siano scomparsi lì dentro.
Ora a Shiberghan ci vanno Lilly, una infermiera irlandese, e Federico, un capitano medico delle forze ISAF italiane: è una bella storia, Federico ha deciso di mollare per un po’ la carriera militare e di vedere la guerra dalla parte delle vittime, è venuto con Emergency che lo ha subito inviato tra i dannati di Shiberghan!
Silvio